Corso Salani, due anni dopo, di Gianluca Arcopinto

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Stasera sarei dovuto andare ad Arezzo, dove, con la proiezione di Occidente, si ricorda Corso Salani, morto due anni fa ad Ostia, all’improvviso, mentre era con la moglie Margherita. Purtroppo lo stesso sogno che era di Corso, fare cinema, mi rende impossibile essere lì. Ma quelle due o tre cose che avrei detto stasera, le voglio scrivere, in un post più privato del solito.

Corso è stato un grande regista, nato in un paese che lo ha relegato in un posto marginale,  quasi da underground.

 

 

Lui ci si trovava bene in quel posto, era orgoglioso di quel posto, che lo rendeva libero di filmare i più bei ritratti e le più belle storie femminili del nostro cinema degli ultimi venti anni. Credo sia stato l’unico regista italiano a realizzare più di dieci lungometraggi, senza usufruire mai di finanziamenti pubblici. E’ stato uno dei tantissimi registi italiani che ancora attendono una risposta da Raicinema su un suo progetto di sei anni fa. Qualcuno lo ha definito l’unico “cineasta felice”. Non credo sia stato l’unico, ma sicuramente Corso, nelle difficoltà quotidiane che doveva affrontare per sognare e fare cinema, era un uomo felice, e per questo sorridente, e per questo cordiale, e per questo amato da tutti.


Corso era un grande viaggiatore. Poteva fare anche mille chilometri in un giorno per incontrare una sua potenziale attrice, oppure per andare a presentare nel più sperduto paese di provincia un suo film, oppure per giocare con gli amici a inseguire sogni suoi ed altrui.

Corso era un grande appassionato di calcio. Jacopo, suo fratello, mi ha raccontato del loro viaggio per andare a vedere la finale dei mondiali dell’82 in Spagna. Con me spesso ci ritrovavamo a vedere le partite della Fiorentina che io tifoso della Roma vedevo con un certo distacco ma felice, felice anch’io, di farlo insieme a lui, non solo uno dei miei registi, ma anche  il dirigente accompagnatore della mia squadra di calcio amatoriale.

Corso, che tutti hanno ricordato due anni fa, quando morì. Ma che oggi quasi tutti hanno dimenticato, rendendo ardua l’impresa dell’Associazione che porta il suo nome di diffondere la sua opera in Italia e nel mondo. Bizzarro il fatto che tutta l’opera filmica e letteraria di Corso sia conservata nella Cineteca Svizzera. Bizzarro il fatto che non si trovi nessuno disposto a editare i suoi film in dvd. Bizzarro il fatto che nessuno del Sistema abbia voluto provare a sostenere l’Associazione.

Corso, che scriveva tutto a mano con la sua penna stilografica ad inchiostro verde, lo stesso che usava suo nonno.

Corso, dal portamento elegante e dal sorriso accattivante.

Quando nacque il mio primo figlio, Corso mi regalò per lui un accappatoio bianco, con su scritto Luca e il nome della nostra squadra di calcio. Quando me lo diede, mi disse che era felice, ma anche un po’ preoccupato che questa nascita avrebbe rallentato la mia voglia di fare cinema in maniera autonoma e indipendente come avevo sempre fatto. Dopo Luca sono nati altri due “figlioli”, come avrebbe detto lui. Credo malgrado tutto di non aver deluso Corso e forse anche per questo, per non deluderlo, non sarò ad Arezzo questa sera. Prima di scrivere queste parole ho tirato fuori dall’armadio il piccolo accappatoio bianco. Luca è entrato nella stanza all’improvviso.

“Perché piangi papà?”

No Luca, non sto piangendo. Vieni, continuiamo a sognare.


Post pubblicato su il Fatto quotidiano, 17 giugno 2012

 

Corso Salani, two years later. By Gianluca Arcopinto

This evening I should have been in Arezzo, where a screening of Occidente is to commemorate Corso Salani, who died suddenly two years ago, while at Ostia with his wife Margherita.  Sadly, that same dream that inspired Corso, to make movies, makes it impossible for me to be there.  But I want to write down the few words I would have said tonight, in a slightly more intimate post than usual.

Corso was a great film director, born in a country that relegated him to a marginal place, almost an underground one.

He was comfortable in that place, he was proud of it: it left him free to film the most beautiful portraits and the most beautiful feminine stories of our cinema in the last 20 years. I believe he has been the only Italian director to create ten feature films without ever making use of public money.  He has been one of the very many Italian directors who are still waiting to hear from Raicinema about a proposal he submitted six years ago.  Someone has described him as the only ‘happy filmmaker’.  I don’t think he was the only one, but Corso, in spite of the difficulties he needed to overcome every day in order to dream and make films, was certainly a happy man. This kept the smile on his face, which made him so warm, which made him loved by all.

Corso was a great traveller.  He would travel a thousand kilometres in one day just to meet a potential actress for his films, or to present one of his films in a remote town in the middle of nowhere, or to join up with his friends to follow his dreams and theirs.

Corso was a great fan of football.  Jacopo, his brother, told me about their trip together to watch the finals of the 1982 World Cup in Spain.  He and I would often meet to watch Fiorentina matches—I as a Roma supporter felt slightly detached, but happy, happy to be there with him, who was not only one of my directors but also the associate manager of my amateur football team.

Corso, whom everyone remembered two years ago, when he died.  Now he has been forgotten by nearly everyone; which makes it hard for the Association set up in his name to accomplish their task of disseminating his work in Italy and around the world.    It is bizarre that his entire oeuvre, film and literary, is held in Switzerland, in the Cinémathèque Suisse; bizarre that no one can be found to edit his films in DVD; and bizarre that no one from the System has tried to support the Association.

Corso, who wrote everything by hand with his fountain pen, in green ink, like his grandfather.

Corso, of the elegant bearing and beguiling smile.

When my first son was born, Corso gave me a white bathrobe for him, with his name, Luca, on it and the name of our football club. When he gave it to me, he said he was happy but also slightly worried that this birth would slow down my ability to make films autonomously and independently, as I always had done.  After Luca, I had two more ‘figlioli’ (children), as he would have called them.  I believe that I did not disappoint Corso after all, and maybe it is also for this reason, not to disappoint him, that I will not be there in Arezzo tonight.  Before writing these words, I took the little white bathrobe out of the wardrobe. Suddenly Luca came into the room.

“Why are you crying , daddy?”

No Luca, I’m not crying.  Come, let’s continue to dream.

Post published in Il Fatto Quotidiano, 17 June 2012

 



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