Trieste Film Festival 20 - "Le vite possibili", di Corso Salani

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Corso Salani reinventa l’Europa e il suo cinema ci parla intensamente di speranze, di fughe, paure e ritorni attraverso un ininterrotto flusso di coscienza femminile. Un film essenziale, cinquantuno minuti di secca dimostrazione di come sia possibile mettere in scena e in immagini il pensiero. In anteprima al Festival di Trieste.

Il pensiero come l'oceano

Non lo puoi bloccare

Non lo puoi recintare

(Lucio Dalla, Com’è profondo il mare)

Fa correre più di un brivido alla schiena il nuovo film di Corso Salani. Non siamo nuovi al suo cinema e non siamo gli innamorati dell’ultima ora, ma Salani è davvero uno di quegli autori la cui evoluzione nel tempo è tangibile, ci tocca e ci affascina. Le vite possibili è un film di cui, in qualche modo, si sentiva la necessità. I luoghi a lui cari: Gibilterra, Ungheria, Lettonia, Moldova, Israele, Romania e Italia sono gli scenari dentro ai quali, su un ininterrotto tappeto musicale, si srotolano i pensieri di varie giovani donne, tutte con un turbamento che portano dentro. Le loro voci, i loro pensieri, che vediamo sovrimpressi sullo schermo, raccontano di ansie e speranze, di fughe e ritorni e compongono questo straordinario mosaico che sembra ricondurre ad una coscienza collettiva che forse soltanto, nell’animo femminile si ritrova con precisa nitidezza e che l’occhio e la sensibilità di Salani sono riusciti a cogliere. Il regista toscano lavora in profondità eliminando qualsiasi cesura all’interno di questo collettivo flusso di coscienza delle sue giovani protagoniste. Salani rapisce, all’interno di questo vortice, il suo spettatore sollecitandone le percezioni in un viaggio dentro un mondo che guarda all’uomo e alla sua intima natura e mostrando un panorama di sentimenti, come egli stesso racconta su queste stesse pagine, come pochi sanno fare.

Un film essenziale, cinquantuno minuti di secca dimostrazione di come sia possibile mettere in scena e in immagini il pensiero. Solo il migliore Wenders degli anni passati era riuscito nell’impresa. Salani lavora sulle immagini con capacità selettiva e con la stessa sensibilità con cui è riuscito a ricreare quella coscienza collettiva che permea il film, inventa un macrocosmo unico del mondo europeo e dell’est rendendo indistinte le location. Ci si sente in un paese senza barriere dove i pensieri e i desideri sembrano dare un unico senso alla vita che si deve necessariamente vivere al di fuori e al di sopra di qualsivoglia confine. Salani insiste su questi capisaldi e il suo film, intessuto della sua melodia musicale riesce a cogliere il senso profondo di una sorta di umano pensiero unico che pervade tutte le latitudini e riguarda le vite di queste giovani donne che riflettono, nel silenzio personalissimo, ma dentro un rutilante e agitato presente che sembra andare in direzione ostinatamente contraria.

Le vite possibili ci regala davvero uno spaccato della vita, la dove la vita ci emoziona e ci ferisce nella malinconica speranza di un futuro possibile e raramente ci fa gioire di un presente che ci fa sentire davvero con i piedi ben piantati nel posto in cui ci troviamo. Il futuro è donna ci raccontava Marco Ferreri e con il suo cinema Corso Salani fa propria questa speranza e da vero autore europeo, con un occhio che guarda tutti i trecentosessanta gradi di cui dispone, ci dona un’opera la cui immaginabile marginalità distributiva nulla potrà togliere al suo valore autentico al di sopra di ogni ragionevole dubbio.


Tonino De Pace, Sentieri selvaggi 23/1/2009

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