Marta Donzelli

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Chi ha vissuto l’esperienza della perdita, conosce bene gli strani scherzi della
memoria che spesso essa produce. Davanti al dolore, ricordare è l’unico conforto,
l’unica cosa che ci resta; eppure questo pozzo di ricordi che ci portiamo dietro, facciamo
fatica a dominarlo, ci sfugge di mano. Le immagini emergono spontaneamente, quando
meno ce lo aspettiamo, senza che ci sia possibile scegliere: belle, brutte, fastidiose,
divertenti, commuoventi… Siamo nelle loro mani.
Nelle ultime settimane sto cercando di ricordare il momento del mio primo incontro con
Corso, ma niente da fare, non ci riesco.
Mi sforzo, ma davvero non viene fuori nulla.
Ho come la sensazione che Corso ci sia sempre stato, almeno da quando c’è la Vivo film.
Quell’inizio che non riesco a ricordare, viene subito sostituito da un’immagine, che un po’
come nei sogni non è perfettamente nitida perché ne contiene tante altre: quella di Corso
nel nostro ufficio, seduto davanti a un computer, al telefono a organizzare i suoi viaggi,
cose del genere… E poi una folla di momenti, situazioni, flash che mi raccontano la sua
presenza - costante – negli ultimi cinque anni. Per mio marito Gregorio Paonessa e per me,
Corso è stato un compagno di viaggio, uno di quelli che si fa davvero fatica a pensare di
poter perdere. È stato un amico, ma l’averlo incontrato per noi ha rappresentato qualcosa
di più. L’incontro con Corso ha contribuito in modo decisivo a costruire l’identità della Vivo
film: lavorare sul versante della ricerca del linguaggio, al confine tra i generi, per lo più lontani
dal cinema a dimensione industriale, tutte idee che la presenza di Corso nelle nostre vite
ha reso molto più reali e concrete. Per questo, e spero di riuscire a dirlo senza retorica, non
lo potremo mai ringraziare abbastanza.
Corso se ne è andato lasciandoci moltissime cose.
Tutti i suoi film, prima di tutto, che nel loro insieme credo rappresentino una delle esperienze
più interessanti e vitali del cinema italiano degli ultimi anni. Ricordo che proprio a Locarno
nel 2007 Tiziana Finzi nell’introdurre con grande calore Corso alla proiezione ufficiale di
Imatra (che poi quell’anno vinse il Premio Speciale della Giuria del Concorso Cineasti del
Presente) lo definì “l’unico vero filmaker italiano indipendente”.
Non so se Corso sia stato proprio l’unico, ma sicuramente di registi come lui nel nostro
paese ce ne sono pochi.
Corso aveva scelto di portare la macchina cinema al suo grado zero.
Dire che lavorava low budget e con un assetto produttivo leggero è quasi un eufemismo.

Più gli anni passavano, più la sua scelta di eliminare qualsiasi sovrastruttura si è fatta
radicale. Negli ultimi anni Corso ha lavorato quasi da solo: lui, un’attrice, una persona che
faceva insieme il suono, l’aiuto regista, l’aiuto di produzione e poi la sua sceneggiatrice
che collaborava anche al montaggio. Fine. Ogni possibile contributo in più lo considerava
inutile e persino dannoso, rispetto alla riuscita del progetto.
Dietro a questa scelta così estrema c’era prima di tutto un’enorme spinta di libertà: poter
girare esattamente quello che voleva, come voleva, dove voleva, il prima possibile. Poter
essere pronti sempre a raccogliere l’infinita gamma di possibilità che solo il reale ci offre.
È chiaro che Corso i suoi film li pensava, li scriveva e poi li realizzava in funzione di questo
modo di concepire il cinema. Si arrabbiava sempre quando si provava a forzare, a marcare
la differenza tra realtà e finzione.
La sua creatività si muoveva proprio nel chiaroscuro dello spazio che si apre in questo
confine. Corso amava viaggiare, andare in posti sperduti, filmare i volti delle persone per
strada, nei bar, sui mezzi pubblici, trovare le attrici per caso, fidandosi solo del suo istinto e
delle emozioni che i loro volti, i loro occhi, i loro gesti gli suggerivano.
Aveva una sconfinata passione per il mondo, per la sua bellezza, ma anche per la sua desolazione,
per la sua tristezza quasi inesauribile.
Gli interessava partire da questo materiale grezzo, non artefatto, per scatenare da qui e
solo da qui, il gioco dell’immaginazione e delle possibilità. Dietro ogni sguardo, ogni espressione
filmata, raccolta per un caso cercato con ostinazione, si celava per Corso una vita
possibile, una storia, una sentimento da dilatare.
Il cinema per lui era questo. Il confine tra cinema e vita tendeva a scomparire.
I paesaggi che filmava si trasformavano nelle emozioni che riusciva a raccontare. E dopo
che incontrava un luogo sentiva che gli sarebbe appartenuto per sempre.
Lo stesso è vero per noi rispetto ai suoi film.
Dopo che li abbiamo incontrati, non ci hanno più lasciati.
Credo che questo valga per tutti coloro che hanno avuto la fortuna di averli visti e possa
valere per tutti quelli che li devono ancora scoprire.
L’impegno per il futuro è rendere questa possibilità concreta. Far vivere il cinema di Corso
per tutta la vita che esso contiene.


W ho has experienced a loss knows very well the strange tricks it plays on our
memory. In front of the pain, to remember is the only comfort, the only thing
that remains: yet this vast amount of memories we keep inside, we find hard to
control, it slips away. The images pop up suddenly when we least expect, without
being able to choose them; beautiful, ugly, bothersome, funny, moving...We are in
their hands.In these last weeks I am trying to remember the first time I met Corso,
but I cannot, I am unable to remember, I try, but nothing appears, it’s as if Corso
had always existed, at least since there has been Vivo Film.
That beginning which I can’t remember is immediately replaced by an image, which
like in our dreams is not perfectly clear because it carries many others: the one of
Corso in our office, sitting in front of the computer, on the phone organizing his trips,
things like that... And then suddenly a multitude of moments, situations, flashes
which tell me of his presence-constant-in the last five years. For my husband Gregorio
Paonessa and for me Corso was a travel companion, one of those you really
struggle to think of losing.
He was a friend, but to us meeting him represented something more. Meeting with
Corso played a decisive part in founding the identity of Vivo film: working on the
search of the language, on the boundary of genres, distant from the industrialized
cinema, all ideas which Corso’s presence in our lives helped define and make real.
For this and I hope not to be rhetorical , we can never thank him enough.
Corso has gone leaving behind many things.
First of all, he has left us with his films which represent one of the most interesting
and vital experiences of Italian cinema in recent years.
I remember that it was right in Locarno, in 2007, that Tiziana Finzi had graciously
introduced Corso at the premiere of his film Imatra (which that year won the Special
Jury Prize, Cineasts of the Present) and said he was the “only true independent
Italian filmmaker”.
I don’t know if Corso was the only one but I know certainly directors like him in our
country are few. Corso chose to take the cinema machine down to zero degrees.
I would say that working with a low budget and a small production unit is almost a
euphemism.
The more years went by, the more his choice to do away with any substructure was

radical. In the last years Corso worked almost all alone: himself, an actress, a sound
person, assistant director, assistant producer and his screen player who also did the
editing. That’s it. Any other contribution he found unnecessary and even harmful to
the success of his project.
Behind this extreme choice there was first of all a great desire of freedom, to be
able to film exactly what he wanted, how he wanted, where he wanted and as soon
as possible. To be ready always to collect the infinite range of possibilities which
only real life offers. It is clear that Corso gave a lot of thought to his movies, he wrote
them and then made them according to the way he conceived cinema. He would
always get angry when one tried to force, or trace the difference between make
believe and reality.
His creativity moved within the chiaroscuro space inside this boundary.
Corso loved to travel and go to remote places to film the faces of people in the
street, in the bars, on public transportation, finding actresses by chance, trusting
only his instinct and the emotions that their faces, their eyes, their gestures would
suggest to him. He had an endless passion for the world, its beauty, but also for its
desolation and almost inexhaustible sadness.
He was interested in starting from this rough material, not made up, to release and
only from here the game of imagination and possibility. Corso saw behind every
glance, every expression on film, gathered by chance but purposely, a possible life,
a story,a new feeling. This is what cinema mean’t to him. The boundary between film
and life seemed to disappear. The landscapes he filmed transformed themselves
into emotions which he was able to tell. After he came to a place , he felt it would
belong to him forever.The same goes for us in regards to his movies. After we have
met them, they have never left us.
I believe the same thing goes for those who were fortunate to have seen them, and
for those who have yet to see them.
The commitment for the future is to make this a concrete possibility.
To let Corso’s cinema live as long as the life it contains.



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